La morte di mio padre

Avevo accompagnato mio padre in giro per la città. Non ricordo se per lavoro o semplicemente per una gita. Poi siamo tornati al garage per riprendere l'auto e tornare a casa. Dopo essere saliti a bordo, siamo rimasti per un po' in silenzio. Non avevamo nulla da dirci: eravamo stanchi con la testa piena di bei ricordi.
Avviando il motore mio padre comincia a parlarmi con un tono diverso, dolce e distratto insieme. Mi fa domande strane, mi chiede se sono felice e se ogni tanto ballo. Gli rispondo che non ho tempo per ballare: lavoro tutto il giorno che alla sera quando torno a casa riesco appena a trovare il tempo per scrivere qualcosa. Lui mi dice di continuare a scrivere, che è importante per non perdere la luce. Allora per accontentarlo gli dico che però ogni tanto la domenica mi prendo il tempo per suonare qualcosa. Lui sorride, ma non è contento. Vuole sapere di Sibelia, dov'è e perché non stiamo più insieme. Non so cosa rispondere.
Nel frattempo vedo che continua a sbagliare manovra, concentrandosi più sulle nostre parole che non sulla guida. È come se non sapesse dove andare, come se l'avesse dimenticato. Arrivati all'uscita del garage, invece di proseguire e imboccare la rampa, si ferma accanto alla colonnina, allunga il braccio fuori dal finestrino e schiaccia un interruttore: la saracinesca comincia a chiudersi davanti a noi. Lo guardo per capire cosa gli stia succedendo e mi accorgo che il suo viso ha perso i colori, le mani abbandonate sul volante, gli occhi smorti e trasognati che guardano altrove. Premo l'interruttore dal mio lato per riaprire la saracinesca. Gli chiedo di poter guidare io. Lui mi risponde di no e continua a domandarmi di Sibelia. Finalmente la saracinesca si apre e possiamo uscire.
Ci ritroviamo fuori sul tetto del garage, invece che sulla strada. L'auto non c'è più: vedo mio padre guidare lentamente la propria sedia a rotelle verso il muro. Gli corro incontro chiedendogli come si sente. Lui si passa una mano sulla fronte raggrinzendo il volto in una smorfia di dolore: si lamenta che gli fa male la testa. In quel momento mi ricordo di avere lasciato la giacca con il cellulare nell'auto parcheggiata al piano di sotto del garage. Vorrei dirgli di aspettare qua mentre corro a prendere il cellulare per telefonare al pronto soccorso e far venire un'ambulanza, ma dentro di me so che sta per morire e non voglio lasciarlo. Vorrei stare con lui, parlargli, raccogliere le sue ultime parole... ma non so cosa fare, cosa sia giusto fare... E alla fine mi sveglio con il cuore che mi batte in gola strozzato dalle lacrime.

Ho perso mio padre quand'ero appena un ragazzo. Da allora sono passati il doppio degli anni. Se non fosse per qualche foto che ancora conservo, avrei già dimenticato del tutto il suo volto. Non ricordo più l'ultima volta che l'ho sognato. Ma perché mai è tornato stanotte? Forse i prossimi giorni potranno darmi una risposta.

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