La camera da letto di Vincent ad Arles (1888) Vincent Van Gogh |
L'ultima cosa che ricordo è di essere entrato nella mia stanza per prendere l'orologio. L'avevo trovato sul comodino e quando me lo sono allacciato al polso ho notato che non c'era più la lancetta delle ore, mentre quella dei minuti scattava avanti e indietro da una parte all'altra del quadrante. Mi parve che il tempo fosse saltato via dalla stanza. Poi un grande sonno mi ha sopraffatto: sono caduto nel letto e mi sono addormentato.
Quando mi sono risvegliato ho avuto subito l'impressione di avere visitato un altro luogo. Quelle voci erano di persone morte. Una di loro in particolare mi ha ricordato l'anziana inquilina che viveva da sola nell'appartamento sottostante circondata dalle sue petunie, che amava come fossero delle figlie. Nelle sere di primavera la sentivo dalla finestra aperta accarezzare i suoi fiori con la stessa voce flebile del mio sogno.
Per quanto mi sforzi non riesco a trovare altro significato se non che ero giunto in un altro luogo dove non mi è permesso entrare da sveglio (o da vivo?): perciò il mio corpo era addormentato, mentre io ero sveglio.
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